Verso la fine del Settecento si assiste in tutta Europa ad una ripresa dei modelli desunti dall’antichità, in particolare dell’arte greca, a cui spetta quel primato fino ad allora riconosciuto all’arte romana.
Tra i principali sostenitori di tale pensiero troviamo Johann Joachim Winckelmann (Stendal, 1717 – Trieste, 1768), storico dell’arte tedesco che sosteneva la superiorità della civiltà greca, distaccandosi completamente dal pensiero del primo studioso d’arte, Giorgio Vasari, per cui la migliore tra le arti era quella romana.
«La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quiete grandezza, sia nella posizione che nell’espressione. Come la profondità del mare che resta immobile per quanto agitata ne sia le superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata. Quest’anima nonostante le atroci sofferenze, si palesa nel volto del Laocoonte, e non nel volto solo.»
J.J. Winckelmann
“Il bello nell’arte” di Winckelmann
Nel suo celebre libro “Il bello nell’arte” (di cui abbiamo citato diversi passi), Winckelmann chiarisce cosa si intende per bello nell’arte greca e lo fa proponendo due antiche sculture simbolo di compostezza formale e compositiva: l’Apollo del Belvedere e il Laocoonte. Secondo lo studioso tedesco, l’imitazione delle due statue greche rappresenterebbe il modo più celebre per diventare maestri.
L’Apollo del Belvedere rappresenta tutto ciò che la natura può superare. Seguendo le regole greche della bellezza, l’artista trova nell’imitazione della natura l’unica via certa da seguire. Nei ritratti era necessario ritrarre le persone il più somiglianti possibili cercando allo stesso tempo di idealizzarle e renderle più belle.
Sottolineava Winckelmann che:
«[…] La legge secondo la quale si dovevano ritrarre le persone somiglianti e in pari tempo più belle, è stata riconosciuta sempre legge suprema dagli artisti greci, e fa necessariamente presupporre che essi perseguissero una natura superiore.»
Cosa rappresenta il Laocoonte per Winckelmann
Non si potrebbe capire gran parte della storia dell’arte se non si considerasse un’opera che fin dalla sua scoperta ha suggestionato artisti e studiosi. Si tratta del famoso gruppo scultoreo del Laocoonte, conservato nel Cortile del Belvedere dei Musei Vaticani, dove si trova fin dalla sua prima collocazione avvenuta per volontà di Giulio II nel 1506. Solo nel 1799 Napoleone, dopo aver conquistato l’Italia, portò l’opera a Parigi, installandola al Louvre: tornò al Vaticano nel 1816.
Per Winckelmann il Laocoonte è tra le statue più belle della scultura antica a dimostrazione di come la principale caratteristica dei capolavori greci sia «la nobile semplicità e la quiete grandezza», nella posizione e nell’espressione. Se osserviamo con attenzione il volto del Laocoonte non noteremo nessun segno di deformazione impostagli dal dolore, nessuna manifestazione di rabbia nell’atteggiamento, la sua bocca si limita a un leggero sospiro. C’è una sorta di dignità intrinseca, che rende la sopportazione del dolore sublime.
La rappresentazione del dolore nell’antica Grecia
Nell’antica Grecia l’artista era anche filosofo, per cui la saggezza aiutava l’arte a infondere nelle figure un’anima superiore, in grado si sostenere qualsiasi dolore senza sfigurare il volto con espressioni violente ed estreme. Era diffusa l’idea che una figura troppo focosa mancasse di saggezza. Più il corpo della statua è rappresentato in uno stato di tranquillità più è in grado di descrivere il vero carattere dell’anima, perché è lo stato di armonia che la rende grande e nobile.
«Né poi è di molto la fama della maggior parte, opponendosi alla libertà di certuni fra le opere notevoli la quantità degli artisti, perché non uno riceve la gloria né diversi possono ugualmente essere citati, come nel Laoconte, che è nel palazzo dell’imperatore Tito, opera che è da anteporre a tutte le cose dell’arte sia per la pittura sia per la scultura. Da un solo blocco per decisione di comune accordo i sommi artisti Agesandro, Polidoro e Atanodoro di Rodi fecero lui e i figli e i mirabili intrecci dei serpenti.»
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXVI, 37
Raffaello rappresenta lo stesso concetto in pittura con l’affresco nella Stanza di Eliodoro in Vaticano, dove ritroviamo la compostezza e la pacatezza nelle figure principali che animano l’affresco. Il vescovo di Roma che distoglie il re degli Unni dal tentativo di attaccare la città di Roma non è rappresentato con gesti e movimenti di un oratore, ma come un uomo che con la sua sola presenza calma il tumulto. Allo stesso modo vediamo raffigurati i due apostoli come due divinità pacificatrici e non come angeli sterminatori.
Come diventare grandi artisti secondo Winckelmann
La domanda che ci poniamo ora è: come può un artista moderno, figlio della cultura cattolico-romana, celebrare in un’opera la grandezza dell’arte classica? Attraverso l’imitazione dell’arte greca. L’unico modo per diventare grandi infatti, secondo Winckelmann era imitare gli antichi.
Se invece prendiamo l’Algardi, nel suo celebre bassorilievo Incontro di Leone Magno con Attila, il noto scultore barocco usa come fonte iconografica per la testa di Attila alcuni motivi raffaelleschi desunti dalla Stanza di Eliodoro. Ma a differenza di Raffaello Algardi non ha saputo infondere ai due apostoli la stessa calma e quiete che contraddistinguono l’arte greca; qui infatti sembrano ricordare guerrieri mortali con arme umani.
Vale lo stesso per il San Michele Arcangelo nella chiesa dei cappuccini a Roma, opera del Guido Reni, dove il santo è mosso da un atteggiamento di compostezza e grazia che lo pongono agli antipodi del San Michele del Conca, dominato quest’ultimo da ira, sdegno e vendetta nel volto.
Tanta bellezza va compresa e fatta nostra non solo dagli artisti ma anche dai viaggiatori o chiunque si interessi di arte, perciò nelle ultime pagine del libro “Il bello nell’arte” Winckelmann si preoccupa di dare al lettore un aiuto, o meglio, gli strumenti giusti per avvicinarsi ad un opera d’arte.
Non dobbiamo soffermarci alla superficie delle cose, anche le statue barocche avevano raggiunto la levigatezza degli antichi, tuttavia peccarono in eccesso, perchè quello che conta è «ideare con fuoco ed eseguire con flemma», ossia non far perdere quella grazia e la compostezza di un gesto contenuto.
«Siccome che la maggior parte degli uomini non guarda che la superficie delle cose, così anche ciò che è piacevole e brillante attira dapprima il nostro sguardo; e mettere in guardia contro gli errori ai quali si va incontro, è il primo passo verso la conoscenza.»

















Dove si trova il Laocoonte?
Il Laocoonte si trova nei Musei Vaticani.
I Musei Vaticani sono aperti dal lunedì al sabato:
H. 9.00 – 18.00 (ultimo ingresso h. 16.00)
Ogni ultima domenica del mese:
H. 9.00 – 14.00 (ultimo ingresso h. 12.30)
Dove sono i Musei Vaticani?
Per raggiungere i Musei Vaticani è molto semplice. Puoi raggiungerli con:
la Metro
Linea A direzione Battistini, fermate Ottaviano o Cipro
il Bus
49, fermata piazzale antistante i Musei Vaticani
32, 81, 982, fermata Piazza del Risorgimento
492, 990, fermata Via Leone IV / Via degli Scipioni
il Tram
19, fermata Piazza del Risorgimento
un Taxi
Stazione piazzale antistante i Musei Vaticani
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2 risposte su “Winckelmann e il Laocoonte”
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[…] lo dimostra la scultura del Laocoonte (per saperne di più leggi l’articolo Winckelmann e il Laocoonte): nonostante la morte lo stia assalendo lui mantiene da bravo greco un certo contegno nelle […]
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