Di lui il Vasari scrisse:
“Era nelle cose della pittura stravagante, capriccioso, presto e risoluto, […] come si può vedere in tutte le sue opere […] ha superata la stravaganza con le nuove e capricciose invenzioni e strani ghiribizzi del suo intelletto”

Per comprendere cosa egli intendesse bisogna guardare ai suoi capolavori. Iacopo Robusti, fu uno dei grandi protagonisti della pittura veneziana cinquecentesca. Noto anche come “il Tintoretto”, poiché il padre era un tintore di tessuti, nacque a Venezia, città in cui ancora oggi possiamo ammirare alcune delle sue più grandi opere.
Allievo del celebre Tiziano, già all’età di 20 anni riuscì a distinguersi per la sua maestria, le sue opere sono infatti caratterizzate da forti contrasti chiaroscurali e da una pennellata veloce.
I suoi dipinti sono caratterizzati dal cosiddetto colorismo veneto, ovvero la pratica di dipingere senza alcun disegno preparatorio vincolante, plasmando le figure mediante accenni di carboncino ma soprattutto attraverso l’uso del colore e di un sapiente gioco di luci e ombre. L’abile uso della luce che rischiara le tenebre è ciò che immediatamente stupisce ammirando le sue tele, testimonianza di ciò è senza alcun dubbio il “Ritrovamento del corpo di San Marco”.
Il Ritrovamento del corpo di San Marco di Jacopo Tintoretto
Si tratta di una tela di grandi dimensioni (4 x 3,96 m) oggi ammirabile presso la Pinacoteca di Brera a Milano. Tintoretto realizzò l’opera negli anni 60 del Cinquecento per la Scuola Grande di San Marco, la confraternita devota al patrono della Serenissima.

La tela raffigura un luogo buio rischiarato da una luce intensa, si tratta di una scena ambientata nelle catacombe di Alessandria d’Egitto. Secondo la tradizione, in una notte dell’anno 828 D.C., il corpo del Santo venne trafugato dal cimitero della città da alcuni veneziani approdati in Egitto proprio per trovare le sacre spoglie e portarle a Venezia.
Il dipinto vede protagonista San Marco, egli si erge all’estrema sinistra in tutta la sua possenza, nell’atto di intimare la fine delle profanazioni. All’estrema destra, invece, è raffigurato un indemoniato che viene guarito dal potere divino della sacra reliquia.

L’opera nella sua bidimensionalità sembra essere tridimensionale, sia grazie all’effetto di profondità dato dalle architetture rischiarate dalla luce, sia grazie alla perfetta composizione prospettica del dipinto. Ciò, insieme alla perfetta resa delle anatomie data mediante un sapiente uso del colore, permette all’opera di raggiungere il culmine della perfezione.

Altra tela raffigurante una scena ambientata ad Alessandria d’Egitto è quella del “Miracolo di San Marco”, realizzata nel 1548 e oggi ammirabile presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia. Si tratta della prima tela che Tintoretto realizzò per la Scuola Grande di San Marco. La scena, ambientata all’aperto, raffigura l’intervento del Santo in difesa di un suo
devoto. Uno schiavo, avendo osato venerare le reliquie di San Marco contro il volere del proprio padrone, fu costretto a subire una punizione; il suo corpo, infatti, è raffigurato nudo e riverso a terra pronto ad essere straziato con oggetti acuminati. Il Santo patrono interviene però in sua difesa, planando dall’alto e riducendo in frantumi gli oggetti destinati alla tortura del giovane. È evidente come nonostante le numerose persone che affollano la scena, l’ordine regni sovrano. I personaggi, infatti, sono disposti attorno alle figure che costituiscono il fulcro della scena: San Marco e lo schiavo suo devoto. I corpi dei due protagonisti sono disposti secondo una diagonale contrapposta, luce e prospettiva sono gli elementi che caratterizzano l’opera.
Tintoretto alla Scuola Grande di San Rocco
Il grande artista veneziano, non si limitò a sfoggiare la sua maestria solo all’interno della Scuola Grande di San Marco. Nella prima metà degli anni 60 partecipò ad un concorso bandito per la decorazione di un’altra confraternita: La Scuola Grande di San Rocco.

Stando a ciò che scrisse Giorgio Vasari, artista fiorentino cinquecentesco nonché storico dell’arte, il concorso prevedeva che i partecipanti presentassero dei disegni per la decorazione di un soffitto. Tintoretto seppe distinguersi tra tutti, egli infatti non si limitò a presentare ciò che era stato richiesto, dipinse direttamente una tela.
Vasari narra come l’artista realizzò la tela “con la sua solita prestezza e la pose dove aveva da stare”, giustificando il suo gesto affermando “che quello era il suo modo di disegnare, che non sapeva far altrimenti”. Ciò portò il Tintoretto a vincere il concorso, la tela realizzata restò al suo posto e dopo questa ne dipinse oltre sessanta da porre a decorazione della confraternita.
La tela vincitrice è il “San Rocco in Gloria”, un dipinto di forma ovale in cui è raffigurato San Rocco al cospetto di Dio padre e della sua schiera angelica.
Colui che ammira il dipinto dal basso ha la sensazione che la scena si svolga sopra la propria testa, ciò è reso possibile dall’uso di una particolare tecnica prospettica: lo scorcio.

Altra opera che cattura immediatamente l’attenzione dello spettatore all’interno della Scuola Grande di San Rocco è la “Crocifissione”.

Si tratta di una tela alta 5 metri e lunga ben 12 metri, questo capolavoro fu realizzato dal Tintoretto nel 1565 e vede protagonista, come si intuisce dal titolo stesso, la crocifissione di Cristo. Perfetti contrasti chiaroscurali caratterizzano il dipinto; Cristo si erge al centro dell’opera, legato alla croce e circondato da una luce che rischiara le tenebre della notte.
Discepoli addolorati sono ai piedi della croce; ai lati di Cristo i due ladroni stanno per essere issati, legati alle rispettive croci. Concitazione è diffusa tra coloro che assistono alla scena.
Si tratta indubbiamente di un’opera d’innanzi alla quale lo spettatore resta col fiato sospeso. Dopotutto come scrisse Giorgio Vasari, “Iacopo Tintoretto” fu “il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura”.


Articolo di Mary Bua |
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